di Joseph Levi

Vi ringrazio di aver scelto il tema della giustizia e la solidarietà nella cultura odierna in relazione alle grandi metropoli attuali, perché è un tema biblico di grande valore e riflessione morale. Dall’antichità ad oggi la moralità nei rapporti interpersonali, la misericordia e l’inclusione dei più poveri e più deboli nel tessuto e negli obiettivi di una città e una civiltà, nel loro impegno di creare un regime giusto e buono degno di godere di una benedizione divina, accompagna l’umanità e la sua cultura urbana senza aver mai trovato l’ideale e l’equilibrio richiesti. Penso alle città nostre in Italia e la Toscana, alle difficoltà di crescita culturale ed economica, alle difficoltà della gestione del denaro pubblico e privato, alle competizioni che hanno alimentato l’uso di stereotipi nelle polemiche interreligiose ed interculturali. Penso alla polemica antiebraica strumentalizzata contro una parte della popolazione in momenti di crisi economica delle città medievali e premoderna, nei momenti di passaggio da una cultura urbana e nazionale ad un’altra, da quella pre-medievale a quella medievale e poi alla prima età moderna e la modernità e fino all’antisemitismo moderno legato alla crescita delle grandi metropoli europee prima della Seconda guerra mondiale.
Adesso, in mezzo alla pandemia del coronavirus covid 19, ci troviamo ad affrontare il fenomeno della globalizzazione con energie e visoni diverse, consapevoli dei lati problematici immorali ed antisociali e di danno alla moralità internazionale. Un tema sul quale la nostra società anche prima del covid doveva e deve riflettere. Di quanti ulteriori milioni di schiavi si nutre il successo economico neocapitalista che lascia in povertà più dell’80 percento della popolazione mondiale e distribuisce con altre grosse diseguaglianze la ricchezza fra il 20% restante? Un bene ed una ricchezza che distruggono l’equilibrio climatico ed ecologico della nostra terra e mettono a rischio il piccolo paradiso offerto all’uomo su questa tappa forse marginale nel cosmo ma centrale per la nostra umana esperienza di connessione e dialogo fra Dio e l’uomo.
Penso ovviamente alla Gerusalemme biblica antica dei tempi di Davide e Salomone e fino al secondo secolo dell’era volgare.
La retorica e la polemica antiebraica antica ha usato spesso la caduta della città di Gerusalemme come una prova della rilevanza del messaggio cristiano di giustizia e misericordia espressi nella “nuova alleanza” proposta dai vangeli, espressa dai profeti della Bibbia contro la Gerusalemme antica e precristiana destinata al fallimento per la sua non giustizia.
Poca attenzione è stata offerta però alla visione e all’interpretazione della caduta di Gerusalemme e delle altre città limitrofe durante la prima e la seconda rivolta contro i romani, fra il 40 e il 135 dell’era volgare, nella stessa tradizione e nell’ermeneutica ebraica del tempo. È bene, nello spirito nuovo di attenzione e dialogo fra i nostri due mondi biblici paralleli, e prendendo l’occasione di questo nostro seminario estivo, purtroppo digitale, cercare di cominciare a colmare questa lacuna e conoscere meglio la voce ebraica sul tema della giustizia e moralità e la caduta di Gerusalemme e Beitar, due città coinvolte nella rivolta ebraica antiromana.
Cominciamo dalle note bibliche della profezia ebraica meglio conosciute, che propongono già in tempi precedenti un legame fra la giustizia e la misericordia sociale e gli accadimenti delle città, prima fra tutte Gerusalemme. Ci dice a questo proposito Isaia: (1,21): “Come mai si è trasformata in una prostituta la città prima onesta? Era piena di giustizia, il diritto vi aveva stabile dimora, ed ora omicidi. Il tuo argento si è trasformato in scorie, il tuo vino è mescolato con l’acqua. I tuoi principi sono perversi e compagni di ladri … non fanno giustizia all’orfano, le ragioni della vedova non giungono a loro”. (Quanta chiarezza e attualità nelle parole di Isaia, pensando non solo alla Gerusalemme di allora ma al nostro vissuto nelle grandi metropoli globalizzate, in india, in Europa, negli Stati Uniti, dove appunto i poveri, le donne, la gente di colore, gli ammalati non trovano giustizia o attenzione. Può per un fedele regnare e dominare tale ingiustizia?)
Viene spontanea la proposta del profeta: “Ricostruirò i tuoi giudici come prima, i tuoi consiglieri come da principio e dopo di ciò tu sarai chiamata città della giustizia, metropoli onesta”. (Noi non sappiamo ovviamente se il richiamo insito nella pandemia del covid-19 sia questo, ma dobbiamo, come fedeli e uomini di qualunque ispirazione divina, stare dalla parte del debole e degli orfani, delle famiglie che arrivano ancora a migliaia e disperate in Europa e dal Messico verso Stati Uniti, dobbiamo migliorare l’umanità della giustizia, condannare l’aggressione micidiale di certi poliziotti e della polizia ecc. ecc.). Il grande progetto umano, dopo la globalizzazione e il covid-19, con la provocazione dei meccanismi antidemocratici che porta, è quello di cercare di fare ciò che promette la visione chiara di Isaia: cominciare a ricostruire, malgrado le grosse difficoltà, la giustizia, allontanando aggressività ed inganno di ogni tipo, in Africa, in Libano con la rinnovata primavera araba, in Europa e nelle Americhe. La speranza in una giustizia e nell’equità deve animare le nostre azioni come fedeli, suscitando fiducia nell’altro, indicando e creando un mondo alternativo.)
Così come promette il profeta Zaccaria (8,19) al popolo d’Israele dopo la loro purificazione: “I digiuni del quarto, del quinto e del settimo e del decimo (mese) diventeranno per la casa della Giudea, gioia, felicità e giorni di Festa, a patto che amiate la verità e la pace”.
Tra questi due poli si evolve la vita della città e delle nostre moderne metropoli: visone critica e reale dell’ingiustizia e dell’inganno sociale ed anche economico, e una ricostruzione incoronata dalla pace sociale e dall’onestà nei rapporti umani privati e collettivi. A noi il compito di ricordare sempre gli ideali umani di una società giusta e onesta, piena di giustizia e di misericordia.
Vediamo ora la nascita e l’interpretazione biblica antica del legame fra lo sviluppo cittadino del sacro e la moralità sociale presente già nel messaggio dei testi biblici profetici ebraici.
Se questi testi biblici sono in qualche modo conosciuti, anche per le loro citazioni nei testi della tradizione cristiana, poco e quasi sconosciuti sono i costumi ed i dibattiti sugli stessi argomenti nella letteratura rabbinica dei primi secoli.
Anzitutto la volontà e il dibattito rabbinico sul giorno di digiuno del mese di Av praticato sino ad oggi in tutte le sinagoghe ebraiche del mondo a mezza estate. Un digiuno fortemente vissuto, durante il quale è proibito non solo bere e mangiare per 24 ore, ma anche occuparsi di cose gradevoli, per essere concentrati sulla distruzione della città di Gerusalemme, per ben due volte nell’antichità.
Il digiuno del mese di Av fu istituito e praticato dal mondo ebraico a seguito della distruzione del primo tempio ad opera dei Babilonesi nel 586 prima dell’era volgare. Già il profeta Zaccaria promette che i digiuni legati alla distruzione del primo tempio di Gerusalemme diventeranno in un prossimo futuro giorni di ricostruzione e di giubilo, in segno del rinnovo del patto fra Israele e il Dio d’Israele. Famose sono le visioni di Ezechiele sui fiumi della diaspora babilonese che profetizzano ed immaginano la costruzione del secondo (o terzo) tempio (Ezechiele cap.40-43). Con l’aiuto del nuovo potere post babilonese, Ezdra e Nehemia rinnovano la vita ebraica a Gerusalemme e ricostruiscono, a partire del 516 p.e.v., un nuovo tempio a Gerusalemme, diverso da quelli di Salomone ed Ezechiele, il quale poi, con le modifiche e gli allargamenti anche da parte di Erode e della sua vicinanza al potere imperiale romano, durerà per sei secoli fino alla rivolta contro il potere imperiale romano. Il così chiamato secondo Tempio sarà distrutto da Tito e Pompeo nel 68-70 d.e.v. È la famosa distruzione del tempio di Gerusalemme e, con il bottino di guerra della sua distruzione, dicono alcuni storici e/o leggende, fu costruito il famoso Colosseo di Roma. (Roma e Gerusalemme come antitesi di civiltà e valori morali dei tempi antichi.) Le profezie di Isaia, Zaccaria e Michea possono essere lette ed interpretate anche in relazione al nostro tema come un dibattito antico sul valore di una vita civile in una città di un tempio sacro che non rispetta l’etica sociale biblica come menzionato sopra.
Quando, a partire del secondo secolo, viene sviluppato e fissato il culto ebraico e il suo rito di preghiere, i maestri scelgono i brani da leggere in pubblico durante il digiuno di Av: sono appunto i capitoli di Isaia e Geremia menzionati sopra. Il nesso fra la vita cittadina in una città del tempio e l’applicazione delle raccomandazioni bibliche di vita basata su giustizia, moralità e misericordia sociale sono ben chiare. In ambito sinagogale ebraico, come in quello cristiano, anche se con una lettura socio teologica diversa, è ben chiara la lezione della distruzione della città sacra, vuota di etica sociale e con le mancanze del popolo e dei sacerdoti riguardo all’equità e ai valori sociali.
Il peccato per il quale furano puniti i residenti di Gerusalemme è descritto anche nel famoso e tragico poema di lutto del libro delle lamentazioni, incluso poi nelle sacre scritture ebraiche, attribuito dalla tradizione al profeta Geremia, che ha vissuto, assieme alla popolazione della Giudea, gli eventi legati alla distruzione di Gerusalemme e del tempio di Salomone nel 586 (p.e.v.). Anche queste lamentazioni vengono lette ancor oggi nella sinagoga durante il giorno di lutto nazionale del mese di Av. Lamentazioni e descrizioni antiche talmente forti che a volte sembrano descrivere gli eventi moderni della Shoà.
Di particolare interesse sono i dibattiti e le valutazioni rabbiniche dei primi secoli sui motivi della distruzione del primo e del secondo tempio e la loro volontà di fissare e mantenere un giorno di lutto e di riflessioni sui motivi della distruzione. E su questo si interroga la nostra breve esposizione storico morale che risulta attuale ed applicabile purtroppo ai giorni nostri e alla nostra civiltà.
Dopo la distruzione del secondo tempio, ci racconta il talmud, i maestri erano in dubbio se fosse ancora utile mantenere il giorno di lutto e la riflessione sulla distruzione del primo tempio avvenuta sei secoli prima. Hanno cercato di dare una lettura morale agli eventi ed erano in dubbio. Il primo tempio, dicevano nel dibattito interno, è stato distrutto per il non rispetto del monoteismo biblico ebraico. Però – si chiedevano i maestri – per quanto riguarda il secondo tempio, in cui apparentamene la torà fu seguita e rispettata, perché è venuto meno l’aiuto divino ed il tempio è stato distrutto? Le risposte che danno i maestri ebrei dei primi secoli d.e.v. vertono tutti su aspetti sociali di coesione, moralità e sensibilità verso l’altro. I maestri applicano ed allargano le parole profetiche ricordate. La prosperità di una società può essere garantita solo quando si mantengano le regole base di una società: il rispetto per altro, la cura da parte del potere per la giustizia sociale, la solidarietà interna. In una parola, dice l’aforisma rabbinico, il secondo tempio fu distrutto per il non rispetto sociale e per l’odio gratuito. Gli stessi rabbini che hanno costruito l’ebraismo rabbinico, basato su principi pratici ed etici solidi, vicini alla realtà della vita e dell’uomo, hanno poi deciso di mantenere viva la memoria del lutto per la distruzione di un mondo ed un culto sparito, proponendo un digiuno annuale in mezzo al calendario ebraico per poter ricordare e riflettere sugli esiti devastanti che può avere la non attenzione alle dinamiche della giustizia sociale e del rispetto umano da parte del potere. Tutto ciò ci illumina, a mio umile parere, sul fatto che la crescita sociale, politica e materiale perde il suo valore, la sua dimensione divina quando non è più nutrita dall’amore e dal rispetto per l’altro. Quando la società si dissolve da dentro, crolla per le tensioni sociali di ingiustizia e non rispetto dell’umanità altrui. In questi tempi difficili di disgregazione politica e sociale, grazie anche alla pandemia dovuta anche al non rispetto della stessa vita animale, la lezione e le spiegazioni che noi possiamo e dobbiamo dedurre sono il richiamo profetico al legame intrinseco fra equilibrio e rispetto sociale dell’altro garante, dal punto di vista religioso, del successo politico di un progetto. Pare che per i maestri ebrei anche il grande progetto della globalizzazione, cioè della costruzione della torre di Babele, alla fine fallì per la stessa mancanza di rispetto tra le persone, perché, attirate dal grande progetto architettonico industriale della costruzione, forse anche scientifica, di una nuova torre mondiale, caddero nel non rispetto del ruolo e del valore della vita di ogni persona della società umana. Per il mondo ebraico il digiuno di Av è un invito perenne a riflettere sui pericoli della disumanizzazione della società.
Per noi, membri della neo-civiltà capitalista globalizzata e post-moderna, quali momenti e riti si possano creare per ricordarci e farci riflettere sui rapporti fra giustizia e solidarietà sociale e la creazione di nuove metropoli nel mondo? Abbiamo bisogno di forti avvenimenti come l’ultima pandemia, o possiamo ricordarci e prevenire i fallimenti in tempo? Abbiamo ancora del tempo?

Joseph Levi è rabbino capo emerito di Firenze, presidente della Florence School of Dialogue FSD, direttore di Shemah, scuola per lo studio e la cultura ebraica