A che punto ci troviamo nel cammino di conoscenza dell’universo, del mondo in cui viviamo e del mistero di quel “guazzabuglio del cuore umano” come lo chiama Manzoni nei suoi Promessi Sposi? Questa è la domanda che il Tonalestate mette a tema del suo convegno e, per introdurre in questa riflessione, pone, nel suo manifesto, sostantivi e verbi importanti: principio, meraviglia, è, era, vivere, insegnare, libertà.


Partiamo dal titolo: “Il principio era la mèraviglia”. Il termine “meraviglia” deriva dal latino medievale “mirabilia”, genere della letteratura di viaggio col quale si indicavano “cose meravigliose” da conoscere. È, quella della meraviglia, un’esperienza ben descritta dal dipinto di Bernardo Strozzi: l’anziano Eratostene e il giovane suo alunno sono colti in un momento di autentico stupore e luminoso riconoscimento. Hanno scoperto qualcosa! Questa loro scoperta li immette in un momento di pura e piena felicità e noi intuiamo che continueranno insieme a cercare, a scoprire e a riconoscere. Ci è capitato di sperimentare una meraviglia di questo tipo, non offuscata dalla fretta, dall’ossessione di superare un esame, dal bisogno di guadagnare o d’imporre la nostra personalità?
Il titolo del manifesto, poi, coi due verbi “era” ed “è” differenziati nella grafica, apre alla riflessione sul rapporto tra il passato e il presente: che cosa è giusto che sia cambiato nel tempo e che cosa invece non è cambiato in quanto è
meraviglioso principio ontologico dell’esistente?


Un secondo punto di lavoro è sottolineato dal sottotitolo:
“primum vivere, deinde docere?”. Che cosa significa “vivere”? Probabilmente ci troviamo in difficoltà a rispondere a questa domanda, tanto che, anche se tentiamo di descrivere la nostra vita, sentiamo sempre qualcosa d’incompiuto.
Non ci viene purtroppo in aiuto l’etimologia, perché vivere “non ha radice”: è, semplicemente, vivere. Qual è dunque quel quid che ci spinge a dire: “questa sì che è vita!”, o invece: “questa no, non è vita!”? Ecco dunque il “docere”. Questo quid, infatti, ci viene inizialmente trasmesso da altri. Da quali fatti e da quali elementi potremo, dunque, distinguere quando riceviamo un “docere” benigno e quando invece il “docere” ci raggiunge quale arrogante esercizio di potere o vanitosa affermazione di sé? Non possiamo negare che questa nostra società sembra volerci tutti degli “autodidatti” e da sempre favorisce un profondo divario tra ciò che “si sa”, ciò che “si dice” e ciò che “si vive” e “s’insegna”, e questo apre un altro interrogativo: è ancora possibile insegnare qualcosa a qualcuno o
imparare qualcosa da qualcuno?


Nel manifesto si cita poi “questa innata libertate”, cioè una libertà non creata dalla società né dalle nostre elucubrazioni o fantasie, ma che sta all’origine del nostro essere.
Come riconoscere questo tipo di libertà e permetterle di agire? Dante ci dice: occorre andare al fondo. Proviamo a verificare se sia vera o no quest’affermazione: la realtà, infatti, in cui viviamo lo richiede, dal momento che è una realtà carica di dolore. Ci troviamo in un mondo in cui è facile fingersi felici, ma in realtà in molti vorrebbero recitare, e a ragion veduta, le parole del salmo 55: «Chi mi darà ali come di colomba, per volare e trovare riposo in un luogo di riparo dalla furia del vento e dell’uragano?». Chiediamoci: studiare e conoscere aiutano a tener vivo in noi un desiderio di bene e aiutano a renderlo tanto radicato che, per quanto messo a prova dagli eventi, non si lascia spezzare? Per questo vale la pena domandarsi: lo studio a cui ci dedichiamo ci è davvero utile? è liberante o è una schiavitù? Con che metodo studiare? dobbiamo farlo da soli o insieme ad altri? E con quale criterio decidiamo di opporci o di dar ragione a conclusioni nostre o altrui? Quel che riteniamo di
sapere suscita in noi una vera passione per l’umano e per ciò che oggettivamente supera l’umano? Quale rapporto esiste tra l’indagine sul mistero di ogni uomo e l’astronomia, la fisica, la filosofia, la matematica, la storia, le arti e tutte le scienze? E perché i governi vogliono avere il monopolio dell’istruzione? E perché la grande industria se ne sta da tempo appropriando? E per quale motivo tante persone sono, nei fatti, escluse dalla possibilità di studiare?


Il lavoro potrebbe iniziare proprio dal guardare in faccia e poi ampliare queste domande che sono iniziali, ma che possono forse aiutare a dare dignità all’arte di studiare in funzione di un bene personale e comune. E l’invito è a farlo
alla luce della propria capacità di osservazione, della propria esperienza, del contesto in cui ci si trova, della storia che ci precede, del proprio sapere e non sapere, così da trovarsi pronti, partecipando al Tonalestate, a incontrare e
a condividere esperienze, conoscenze e riflessioni con giovani, con docenti e con personalità del mondo della cultura, dell’arte, della scienza e dell’informazione provenienti da molte parti del mondo.