di Christian Raimo, insegnante, giornalista e scrittore

Scrivo queste poche righe come insufficiente rimedio alla mia mancata partecipazione, dovuta a motivi personali. Ringrazio tutta l’organizzazione per l’invito e per la comprensione.

“A Barbiana avevo imparato che le regole dello scrivere sono: aver qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti i a molti sapere a chi si scrive, raccogliere tutto quello che serve, trovare una logica su cui ordinarlo, eliminare ogni parola che non serve, eliminare ogni parola che non usiamo parlando, non porsi limiti nel tempo. Così scrivo con i miei compagni questa lettera, così spero che scriveranno i miei scolari quando sarò maestro”.

Questa è una citazione di Lettera a una professoressa, il libro che Don Milani e i suoi studenti della scuola di Barbiana pubblicano nel 1967. Lo abbiamo letto con i miei studenti quest’anno, nessuno lo conosceva. A scuola si parla di tutto, ma c’è un tema che viene sempre poco affrontato: la scuola stessa. I suoi problemi, le riflessioni sull’educazione, e soprattutto il tema che Lettera a una professoressa ci ha messo davanti agli occhi in modo così radicale: le disuguaglianze, a scuola e nel mondo. Come si assomigliano e si nutrono
l’un l’altra le disuguaglianze della scuola e quelle della società.

Partiamo dall’inizio. La Lettera comincia con due incipit fantastici. Il primo è nella nota in maiuscolo che precede il primo capitolo, e dice: “QUESTO LIBRO NON È SCRITTO PER GLI INSEGNANTI, MA PER I GENITORI. È UN INVITO A ORGANIZZARSI”.
Tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta – il tempo in cui Lettera a una professoressa uscì e diventò un testo di riferimento per milioni di persone – la politica era dappertutto; oggi quasi da nessuna parte.
“Un invito a organizzarsi”, poi, che significato ha? Cosa vuol dire organizzarsi a scuola?
Esattamente cinquant’anni fa, tra il 1973 e il 1974, sei anni dopo la pubblicazione di Lettera a una professoressa, vennero approvati i decreti delegati, quella legge che ha introdotto nella scuola i cosiddetti “organi collegiali”: le assemblee di studenti, genitori, professori che insieme al dirigente decidono il progetto e proprio l’organizzazione della scuola.
Alle prime elezioni degli organi collegiali del 1974 votarono 9 milioni di persone e che nelle riunioni preparatorie a quelle riunioni parteciparono 4 milioni e mezzo di persone. L’invito a organizzarsi di Don Milani e Barbiana era stato accolto.
Con i decreti delegati finalmente poterono avere una voce non solo chi presiedeva la scuola come i dirigenti, il ministero… ma anche chi la scuola la viveva veramente: gli studenti, i genitori e i professori.
Oggi è vero che noi forse la scuola più che viverla, spesso ci sentiamo di subirla, ma sappiamo, anche se non riflettiamo spesso, di avere dei diritti conquistati proprio in quegli anni.
Perché il funzionamento della scuola è così importante per noi? Perché, se ci pensiamo, per moltissimi la scuola occupa gran parte della nostra vita; in molte famiglie ancora quando si cena insieme la domanda “Come stai?” è quasi sostituita o sostituibile da quella “Com’è andata a scuola oggi?”. Per 8 milioni di studenti parliamo di 5/6 ore al giorno per 5/6 giorni alla settimana, senza togliere che il tragitto di andata e ritorno per alcuni è un vero e proprio viaggio. E per non parlare poi del fatto che una volta pranzato, nel pomeriggio si torna a fare scuola studiando per il giorno seguente. Immaginiamo com’era possibile prima di quel 1974 fare scuola, in un ambiente che poteva ignorare le esigenze
di coloro che effettivamente ci vivevano dentro.

Occorre nominare un’altra grande riforma, quella del 1977, oggi poco ricordata. Attraverso la Legge 517/77 è stato possibile procedere all’abolizione delle classi differenziali per gli alunni svantaggiati. Come fu scritto in quella nuova norma: era “consentito a tutti gli alunni in situazione di handicap di accedere alle scuole elementari e alle scuole medie inferiori”.
Questa riforma fu l’esito di lotte lunghe e faticose. Vorrei ricordare oggi la figura di Mirella Antonione Casale. Se Don Milani è sicuramente un nome ancora molto noto, forse un simbolo stesso nella storia della scuola democratica, Casale è quasi ignota. Ma la sua storia è esemplare.
Lei è nata a Torino nel 1925, ed è ancora viva. Ha 98 anni, sarebbe bello andarla a trovare, ma non ha più una vita pubblica da molto tempo. L’episodio che le cambiò la vita fu la malattia di sua figlia Flavia, che non aveva nemmeno sei mesi: un’encefalite virale le provocò danni al cervello e una disabilità permanente. Quando ebbe sei anni Mirella Antonione Casale provò a iscriverla a scuola, ma Flavia fu accettata solo nelle classi differenziali.
La riforma della scuola media del 1962 infatti aveva lasciato che continuassero a esistere “scuole differenziali per alunni affetti da disabilità gravi e classi differenziali destinate ad alunni con problemi di socializzazione o apprendimento”. Le classi per “i diversi”.
Casale non ci sta, e si batte perché non venga discriminata sua figlia Flavia, e insieme a lei tutti gli studenti ghettizzati in queste classi. Si forma un movimento di genitori, che non hanno molta dimestichezza con la militanza politica, ma sono molto decisi a lottare, e così iscrivono i figli nelle classi “normali” a forza. Di fatto boicottano la legge.
È proprio la Lettera a una professoressa e l’eco che suscita nei movimenti studenteschi, è proprio quella richiesta di uguaglianza che porta le istanze di Casale e dei genitori dei figli segregati nelle classi differenziali fino in parlamento.
Nel 1971 si forma una commissione presieduta dalla senatrice Franca Falcucci che lavora per cambiare la legislazione. E finalmente nel 1977 vengono eliminate le classi differenziali. Viene istituita la figura dell’insegnante di sostegno, per fornire il supporto necessario agli studenti con disabilità all’interno delle classi regolari. E da lì, potremmo dire, nasce la storia della scuola dell’inclusione in Italia. Una storia complicata ma indubitabilmente felice.

Questo sguardo sulla scuola è molto importante e sarà sempre, e giustamente, più così. In questo momento in Italia il 27 per cento degli insegnanti lavora come insegnante di sostegno.
Quella stagione politica degli anni settanta ci sembra oggi molto distante. Questa è la prima differenza grande tra allora e adesso, e proprio per questo oggi ha senso domandarsi tra di noi quale sia il senso del fare politica, a scuola, per la scuola, a partire dalla scuola.

È molto importante questo momento di confronto sui temi dell’educazione e la politica che avete organizzato, mi dispiace molto non poter essere con voi, spero di potervi leggere in qualche modo, e sicuramente avremo modo di conoscerci di persona.