di Pietro Vecchi

L’uomo, ovunque si trovi, sente la necessità di vivere insieme agli altri quel tipo di amicizia che, come scrisse Francis Bacon, “moltiplica l’allegria e dimezza le difficoltà”: per questo, possiamo incontrare, in ogni città del mondo, spazi che testimoniano una risposta all’esigenza, umanissima e molto importante, di fare esperienza di una convivenza autentica e armoniosa.
La condivisione del bello e del bene è, poi, anch’essa, una necessità che svela la grandezza dell’uomo. Quanto sarebbe ingiusto tenere lo spazio, la visuale e la bellezza per se stessi! Com’è importante, invece, condividere ciò che è buono e bello. E, camminando per le città giapponesi, possiamo riconosce nei particolari, magari discreti, quasi nascosti, quel forte desiderio della “Gerusalemme celeste” che il Tonalestate di quest’anno ci ricorda.
E vorrei dunque presentarvi alcuni spazi di questo tipo che si possono incontrare nelle città giapponesi.
Inizio dalle scuole e dai campus universitari, che sono vere e proprie città dentro la città. Spesso in armonia con la natura, piene di spazi misurati sul bambino e sul ragazzo, sono fatte per l’unità e la convivenza. La scuola elementare e media rappresenta il punto di aggregazione del quartiere; il campus rappresenta un’area di città sottratta alla violenza del mercato, e in essa i giovani possono vivere anni universitari pieni, in un ambiente fatto solo per loro.
Poi, vorrei ricordare le machiya, che sono abitazioni tradizionali cittadine dei mercanti. Occupano stretti lotti che si affacciano sulla strada sul lato corto e condividono il muro laterale con i vicini; sull’ingresso c’è una stanza per ricevere gli ospiti, poi un cortile, e gradualmente prendono posto gli ambienti più intimi, man mano che ci si spinge in profondità. Un prototipo di vita cittadina, qua e là ripreso anche dai contemporanei come esempio di equilibrio fra individuo e comunità.
Un terzo esempio sono i vecchi negozietti di epoca Shōwa: frequentemente presentano ingressi messi in diagonale rispetto alla strada e all’edificio, come una piccola piega in dentro della facciata, nel punto in cui si accoglie il visitatore; qui piastrelle, vetrocemento, legno e altro materiale formano semplici composizioni quasi di arte astratta. L’edificio rinuncia a un triangolino di pavimento in favore della strada, come a simboleggiare ascolto e servizio del cittadino verso la città. È un particolare quasi inosservato e poco studiato, ma credo riveli quella natura di servizio e di contributo alla società tipica del popolo giapponese, così fortemente contraddetta dalla normalità urbana, risultato della speculazione.
La città del Giappone è, infine, tradizionalmente fatta anche per condividere la natura. Un esempio commovente è il villaggio di pescatori di Ine, riscoperto e rilevato negli anni ’60 da Yūichirō Kōjiro. Ogni casa del villaggio ha un ingresso sulla strada e uno sul mare, dove “parcheggiare” la propria barca. Scrive Akio Chii in Ryōshi wa naze, umi wo mukatte sumu no ka? [Perché i pescatori abitano di fronte al mare?] (Kōsakusha, 2012): «Mi sono spesso domandato: perché i pescatori vivono in case allineate, affacciate sul mare? (…) Io, ultimamente, ho deciso di pensarla così: è che i pescatori semplicemente vogliono stare affacciati sul mare. E ho imparato che, dall’antichità, l’allineare le case in modo da accogliere le “grazie del mare” diventa un condividere riccamente e ugualmente quelle stesse grazie».
I giapponesi spesso parlano delle loro città con indignazione. Dicono che i loro edifici non invitano ad entrare, non contribuiscono al paesaggio cittadino ma si nascondono; nelle strade si trovano affiancati alti edifici per appartamenti, basse casette, centri commerciali, templi, in modo che ogni elemento si trova lì come per caso, quasi come un elemento intercambiabile, spostando il quale non si altererebbe alcun ordine. Altri denunciano il fatto che non si realizzano progetti urbanistici se non a scopo di costruire negozi, e la cultura viene spesso esclusa dalla pianificazione.
Se su molti punti posso trovarmi d’accordo con loro, non deve passare sotto silenzio quanta bellezza, quanto valore umano ancora possiamo trovare e riconoscere nelle città giapponesi.

Pietro Vecchi, architetto e ricercatore a Nagoya, in Giappone