Dopo aver osservato la realtà del mondo e aver riconosciuto la necessità di ascolto e di dialogo, la giornata conclusiva intende presentare come ci si è dovuti confrontare sul serio con la realtà, come si è anche intervenuti per trasformarla, liberi dalla logica del possedere e della vittoria ad ogni costo.

Jean Tonglet, esponente del movimento ATD Quarto Mondo, inizia ricordando l’anniversario della catastrofe di Marcinelle, per non dimenticare, e per onorare le vittime e i soccorritori. Padre Joseph Wresinski, fondatore del movimento, proveniva da una famiglia di emigrati in Francia dalla Polonia ed era cresciuto in quella condizione che poi definì “la grande università della miseria”.

Tonglet affronta il tema della gratuità nell’esperienza dei più poveri, “condamnés à la gratuité, interdits de gratuité”. La loro è una gratuità imposta. Il loro ricevere permette l’intrusione dei donatori nella loro vita e richiede l’alto costo della vergogna e dell’umiliazione, per essere sempre tenuti nella posizione di chi tende la mano e che non può scegliere né i vestiti che metterà, né il pasto che mangerà. Vite su “i sentieri della vergogna”. Ugualmente, ai poveri è vietata la gratuità perché verrà controllato l’uso in proprio di ciò che ricevono. Miserabile diviene chi è nell’impossibilità e nel divieto di dare, perché “dare” è promozione della dignità essendo condivisione e reciprocità di bisogni.

Tommaso Greco, insegna filosofia del diritto all’Università di Pisa. La sua lezione titola: “Gratuità nella giustizia. Un’eccezione alla regola?”

Due sono le possibili interpretazioni della giustizia. La prima, più abituale, è una concezione commutativa e distributiva che riprende l’idea di calcolabilità di ogni azione umana. Uno scambio tra valori commerciali perché le azioni umane sono pesate (l’iconografia della bilancia, della benda, della spada dipinta nelle aule di giustizia) e la legge diviene uno strumento di scambio come il denaro che serve, in senso orizzontale, a “pagare un prezzo” e, in senso verticale, a chi ha il potere di fare qualcosa. Idea che restringe lo spazio del dono e libera dalla relazione.

C’è però una seconda accezione. Quella della giustizia come carità, amore del prossimo, tesa a realizzare il valore dell’uguaglianza senza calcolo. Per realizzarla ci vorrebbe un’altra antropologia che ricerca la relazione con l’altro non per una corrispettività; che possa far vedere l’altrui bisogno; che, invece di punire, accoglie e ripara; che non misura ma, anzi, cerca di dare peso a ciò che non ha peso.

Al pomeriggio partecipano alla Tavola rotonda entrambi i Relatori del mattino e molte sono le domande che intersecano giustizia e povertà. Tra queste, si chiede come si possa donare ciò di cui non si è mai presa consapevolezza di avere ricevuto. Si cita don Milani e la sua idea dell’ingiustizia di fare parti uguali per persone diverse. Dal Giappone una ragazza chiede sulla legittimità della pena di morte inflitta, per lo più, ai più poveri e dell’eliminazione del ripudio della guerra dalle costituzioni. Come agire con gratuità senza dover aggirare le regole? Qual è il rapporto tra diritti e dovere? Quale rischio introduce l’aiuto economico-sociale in cui si spaccia per trasparenza il controllo sulla persona?

Pensare l’uomo e la società come relazione, che è stata un’esperienza reale di queste giornate del Tonalestate, genera la nostra responsabilità di condividere creando una rete in cui poter collaborare insieme. Il termine “Gratis” viene dal latino: “per le cose che ho ricevuto, per quello che mi è stato dato”. Significato che mette in movimento davanti a quello che la realtà ci presenta, non per un merito ma in virtù di ciò che si è ricevuto…