
Il tema sul quale il Tonalestate – International Summer University ci invita a riflettere è la miseria, e ad esso ci introduce con un titolo privo di ambiguità: “deRelicti”, cioè scartati, abbandonati, senza più nulla da perdere e bisognosi di tutto.
Questo accorato aggettivo-sostantivo, nel manifesto, viene accompagnato e, se possibile, in qualche modo consolato, da un verso di Virgilio. Nel Libro primo dell’Eneide, con l’enigmatica sinteticità della lingua latina, passibile quindi di un’infinità di traduzioni, il sommo poeta, per il quale un “picciol fallo è amaro morso”, afferma: sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangent. Il punto centrale della sua affermazione sta in quel lacrimae rerum, cioè il pianto
delle cose e sulle cose, un pianto che nasce da una pietas misericordiosa che prende sul serio la miseria e ne fa motivo per prese di posizione coraggiose e
indulgenti, pronte alla compassione e all’ardimento.
Affrontare il tema della miseria – pensiamo alla sua etimologia: “mis” cioè “lontano da/nemico di” ed “eros”, cioè “amore fecondo” – richiede concretezza
e realismo, perché prendere per mano una persona in miseria non è certo facile: si tratta, infatti, di avere a che fare con la più estrema delle povertà. E il termine latino “derelicti”, sulla cui incerta radice “liek” non si è concordi, si riferisce a chi non ha nulla e, quale relitto nel mare della vita, è sbattuto di qua e di là da onde alle quali non può opporre resistenza. “Derelicti” sono i nostri fratelli che sono lasciati in balìa di una solitudine degna del nostro pianto, ridotti a “cose” pronte per essere vendute e mercanteggiate: sono loro gli schiavi di questo secolo XXI che, inneggiato da tanti come portatore di una nuova era di pace, mostra, invece e ancora, un volto sfigurato dalla crudeltà. E bisogna dirlo: se di fronte a queste tragedie “non piangi, di che pianger suoli?”. Il pianto dev’essere il primo passo, per poi impegnarsi in un lavoro sollecito, onesto, leale, fino ad essere disposti a dare la propria vita.
Il dolore di chi è in miseria ci racconta anche della crudeltà sempre purtroppo presente nella storia dell’umanità. Se la radice greca della parola dolore è “deléomai”, cioè “distruggere”, quella della crudeltà ha, da “cruor”, il sapore del “sangue rappreso” e ha la durezza, da “crudus”, di un ghiaccio che nessun sole sembra in grado di sciogliere. Di fronte a questo, dovremo confrontare i nostri dolori, a volte così meschini e piccini, col tipo di dolore che, con realismo e capacità poetica superlativa, ci viene descritto, a simbolo di tutti i “derelicti” della storia, nel Libro di Giobbe, uomo giusto che, senza colpa, prostrato nella miseria più totale, osò parlare con Dio. E dovremo riflettere sulla crudeltà (la riconosciamo in chi ha un “animo disposto a sentimenti ed opere fiere e atroci, e l’addimostra nei fatti”) con cui agiscono coloro che, nemici d’amore, guidano e governano città, paesi, nazioni e continenti, provocando ferite che richiederanno secoli per essere sanate. E quella crudeltà, purtroppo e in diversa misura, tutti l’assorbiamo e tendiamo a riprodurla nelle nostre relazioni più quotidiane, in casa, al lavoro, a scuola, nei luoghi di svago o di vacanza, attraverso i nostri inganni, le nostre menzogne, le maldicenze, le mormorazioni e le piccole o grandi vendette che mettiamo in atto spesso in modo sottile e nascosto, ma che non per questo risultano meno dolorose in chi le subisce. C’è infatti la crudeltà evidente e indignante di chi ordina di fare le guerre, di chi impone di trattare i migranti come delinquenti e invasori, di chi fa piazza pulita di un popolo in nome di vergognose e inesistenti superiorità razziali o riduce al nulla altri popoli per arricchire il proprio, e c’è la crudeltà “privata”, quella che ogni donna e ogni uomo sa di compiere e della quale spesso non ha nemmeno il pudore di vergognarsi e chiederne perdono.
I derelitti, per i quali il pianto della storia sembra non avere mai fine, il Tonalestate ci propone di guardarli in faccia, senza prendere quelle vie di fuga che ci lasciano la coscienza immacolata solo perché inutilizzata. Come possiamo accettare che ancora vengono massacrati degli innocenti – come ci ricorda senza mezze misure il bel quadro di Guido Reni – che pagano con la loro vita l’avidità, la tirchieria e l’ambizione di chi ha il potere? E come valutiamo le rivoluzioni che sono state messe in atto nel tempo: che cosa hanno portato di positivo e che cosa hanno distrutto? E che tipo di rivoluzioni, oggi, in questo turbolento 2025, sono necessarie, anzi obbligatorie, per rispondere alla povertà estrema in cui vengono lasciati interi popoli? E quali sono i bisogni che, se non vengono soddisfatti, trasformano l’esistenza in un inferno? Quando una persona si trova senza casa e senza sostento, senza amici, magari senza più nemmeno un ideale che gli dia conforto, dove e in chi troverà un aiuto vero e pertanto efficace? In nome di chi potremo dire, ancora col Virgilio dell’Eneide, solve metus, cioè “non temere”? Vale dunque la pena chiedersi, come invita a fare il sottotitolo del manifesto: “chi ha le chiavi del regno?”. Sono forse in mano di chi s’impossessa del potere o c’è un più in là, un più in su ma più vicino sul quale possiamo fondare la nostra speranza e col quale possiamo collaborare per creare un mondo giusto e umano?
Sono queste alcune delle domande sulle quali il Tonalestate desidera dialogare nel suo convegno d’agosto, al quale parteciperanno, come ogni anno, giovani e adulti, studenti e pensionati, operai e scienziati, gente di lettere insieme a musicisti, pittori, architetti, artigiani, giornalisti ed intellettuali, persone impegnate a fondo e concretamente nei drammi e nelle speranze
del nostro tempo.
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