Com’è il nostro tempo e come lo vogliamo guardare, giudicare e vivere nella sua inevitabilità?

È evidente che è un tempo in cui le guerre – quelle grandi che occupano le pagine dei giornali e quelle più private eppure anch’esse gravi e dolorose – rendono tristemente scheletrico un panorama nel quale miseria e fame abitano gomito a gomito con ricchezze esorbitanti, mentre sole e pioggia continuano a cadere inesorabilmente tanto sui giusti come sugli ingiusti. Tempo di solitudine negativa e priva di soccorso, il nostro è dunque un tempo giunto al fondo di un abisso da cui è impossibile uscire, sebbene non manchino esempi meravigliosi di solidarietà che, per parafrasare Campana, potrebbero accompagnarci a incontrare la “divina semplicità”? Questo mondo, dominato dalla globalizzazione del male, riusciamo talvolta a vederlo “piccolo e leggero”, grazie alle mani e al cuore di chi vive con l’incantevole prospettiva che ci immette nell’eterno?

Di fronte a tanti cuori che vediamo tremare di vertigine, risulta perfetto il giovane dipinto da Courbet, il quale, con chiara evidenza, grida al cielo e agli uomini: “Tutto è perduto!”. E a lui fa eco il sottotitolo del manifesto, che potremmo così tradurre: “So come vanno le cose e non ho più niente da dire: mi hanno rubato tutto, parole, cose, idee, speranze; ho infatti mangiato la messa in scena di questa società dove il cielo è senza terra e la terra è senza cielo e non mi resta che urlare il mio disorientamento. Che cosa farò? Starò a guardare le torri barbare che dominano il mio nulla o scorrerò sopra la vita, dicendo per sempre addio alla gioia? Ci sarà mai una via di uscita a questa condizione?”.
Il ragazzo dipinto da Courbet potrebbe poi anche chiedersi: dove sono finiti gli ideali e i valori del passato? È il nostro un tempo sconfitto perché ogni essere umano ha perso la sua dignità e identità? Era meglio prima e occorre ripristinare il prima? Devo rinunciare ad agire e aspettare tempi migliori, rifugiandomi da qualche parte? Se non ci sono più le ideologie e tutto è relativo, posso forse trovare una via di scampo nell’attuale filosofia woke, che mi dice: “Inventatelo tu il senso, dato che sei un dio che ha tutti i poteri!”? Sono, queste, alcune delle domande già contenute nel titolo stesso del Tonalestate di quest’anno – “le temps vaincu?” – dato che “vaincu” indica una sconfitta che richiama alla memoria ciò che si è perso, ciò che si è visto “rotolare nell’abisso profondo dell’infamia”.

Il manifesto del Tonalestate, però, non vuole lasciarci smarriti di fronte all’intensa concretezza di queste domande, e lo fa grazie alla frase che ha scelto: “Eppure, spingendosi avanti, questo mare sarebbe un’avventura”. Queste parole, finale di una poesia che il professor Riva scrisse quando era poco più di un ragazzo, rompono, infatti, l’angusta prospettiva di vivere, come si ama dire adesso, “disperatamente svegli”. Chi lotta, chi studia, chi fatica, chi è giovane e chi non lo è più, a partire da questa frase, può, infatti, cominciare a chiedersi: il mio agire sta vivendo solo di un “consumato amore”? La mia speranza è solo un “rosso straccio”, cioè una povera cosa che si muove secondo come si muovono i venti? dove e come posso recuperare una speranza viva, limpida, lieta? La mia anima e quella del mio tempo potranno maturare insieme? Con chi camminerò per dire no alle guerre, alle ingiustizie, alle lotte non necessarie e a quelle crudeli violenze che sembro guardare con indifferenza e che invece vivo con sofferta impotenza? Ha ancora senso o, meglio, è ancora possibile il carpe diem di Orazio? E vale quel che diceva Seneca, cioè che “omnia aliena sunt, tempus tantum nostrum est”? Perché, per alcuni, il tempo della vita, di cui Seneca sostiene che siamo unici padroni, risulta così lungo, doloroso, assurdo e pesante da affrettarne la fine? Come può il tempo, da nemico, diventarmi amico? E come dire un positivo “ai giochi, addio”, quel saluto che sicuramente fece, nel segreto del suo cuore, la dolce Giulietta quando incontrò il suo Romeo, dando così il primo passo di un nuovo inizio alla sua storia?

Sarà, dunque, di grande intensità l’incontro al quale ci invita, quest’anno, il Tonalestate e che non si terrà sulle Alpi italiane ma sulle dolci colline emiliane e che, come sempre, sarà un incontro tra studenti, adulti, docenti, artisti e scienziati convocati per una riflessione e un approfondimento frutto del lavoro di studio, di ricerca e di presenza nel nostro tempo, con una ricchezza di esperienze fra loro legate da una diversità che consola e da un’unità che rallegra.